La storia dell’Officina comincia tanto tempo fa, con la bottega che il fabbro Ernesto mette su a Osteria del Fiume, piccolo borgo di case sulla strada che da Rimini porta a Coriano. Corre l’anno 1898.
La bottega sono due stanze appena, al piano terra della casetta all’incrocio, dove vive con Giuseppina e i bambini. Allo stesso tempo è un’impresa per quella famiglia, che fino a quel momento aveva nella muratura la sua tradizione.
Ernesto inizia qualcosa di nuovo seguendo le sue passioni, perché ama forgiare il ferro, così come ama leggere e andare all’opera. Un fabbro con l’animo del poeta.
Ernesto ha sei figli, tre maschi e tre femmine. È Angelo detto Lino, il penultimo, a imparare il mestiere del padre. Angelo ha i capelli rossi, il gusto dello scherzo e un sorriso buono.
Durante la guerra viene deportato in Germania, che i fabbri hanno le mani capaci, e torna appena in tempo per seppellire il padre.
Tutto è distrutto dal passaggio del fronte.
Sono nati Anna ed Enrico, bambini a cui i boati delle bombe risuonava nelle orecchie assieme alle ninne-nanne, e solo qualche anno dopo, Renzo.
I figli maschi si mettono presto a bottega col padre, da cui ereditano, oltre alla capacità, anche la grande passione per il fuoco, la forgia, il ferro.
La bottega comincia a funzionare, così bene che nel 1980 si decide di spostarla e ingrandirla, proprio di fronte a casa. In quegli anni crescono anche le famiglie, e arrivano 6 nipoti, tutte femmine.
L’officina rimane il luogo dove lavorano gli uomini di casa, dove inventano, forgiano, trasformano il ferro e gli danno forma. Per le bambine è uno spazio magico, scuro, misterioso, pieno di oggetti che fiammeggiano, maneggiati con strani strumenti, pieno di polvere di ferro, di scintille che bisogna temere, ma che incantano. È un luogo di odori acri e minerali, di suoni assordanti e improvvisi, è la fucina di Vulcano studiata sui libri di scuola.
Gli anni passano e diventano venti, dalla costruzione della nuova officina. Lino non c’è più, le energie cominciano a scemare, che il mestiere del fabbro consuma, e così l’officina chiude. Non ci sono figli maschi a portare avanti il mestiere, le ragazze hanno altri interessi. Ognuna intraprende il suo percorso.
Così escono uno alla volta i manufatti, le incudini, le forge, le presse e gli attrezzi, finché non rimane che polvere di ferro.
L’officina, per la prima volta dopo più di cento anni, tace.
A volte però, la vita prende pieghe inaspettate e il futuro per realizzarsi ha bisogno di tornare al passato, di abitare i luoghi dove ha avuto origine.
Così due nipoti di Lino, pronipoti di Ernesto, cominciano a raccontarsi il loro sogno: un sogno fatto di persone che si incontrano e condividono una passione. Insieme imparano a metterla in pratica, attraverso la creatività, lo sport e l’impegno. Un sogno fatto di bambini che crescono e imparano cose sempre nuove, e insieme scoprono il piacere di sentirsi capaci di qualcosa di bello, e che crescere così è un divertimento.
E così Nicoletta e Manuela cominciano a chiedersi perché quel luogo, che per cento anni ha creato oggetti fatti ad arte, non possa adesso far uscire voci, musica e parole. Questo pensiero e queste domande sempre più prendono forma, diventano reali.
È così che l’officina torna a vivere, ma trasformata, non più ferro da forgiare, ma persone da formare.
Gli stessi luoghi continuano ad accompagnare la storia di questa famiglia, ma rinnovandosi. Così come la vita cambia, si trasforma, muta, per ritrovare se stessa, la sua identità.
L’identità, il sentirsi parte di una storia, il coraggio di seguire la propria passione, la dedizione per il fare. Queste cose invece sono rimaste, e durano da più di cento anni.
L’Officina oggi è tornata a vivere. E torna a far vivere tutte le generazioni di questa famiglia, dal 1898 fino ad oggi.